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  • di Giuseppe Spoto
  • lunedì 15 dicembre 2014, 09:51

Attività di "affittacamere", sentenza della Cassazione

Non è in conflitto con il "divieto di uso diverso dalla civile abitazione"


L’approfondimento di questa settimana è dedicato ad una recente sentenza di Cassazione (sentenza 20 novembre 2014, n. 24707) in materia di “affittacamere” all’interno di un edificio condominiale. Secondo la decisione dei giudici della suprema corte non deve essere considerato illegittimo adibire la privata abitazione condominiale ad attività commerciale di “affittacamere”, a meno che non venga dimostrato l’effettivo pregiudizio in danno ai vicini di casa.
Affittacamere
Per svolgere attività di “affittacamere” occorre disporre di immobili composti da non più di sei camere con una capacità ricettiva non superiore a dodici posti letto, purché ubicate in non più di due appartamenti ammobiliati in uno stesso stabile. È possibile fornire alloggio ed eventualmente servizi complementari ai clienti. Tale attività può anche comportare correlativamente la somministrazione di alimenti e bevande, sempre che sia lo stesso titolare a farlo in una sola struttura immobiliare e al servizio esclusivo di coloro che sono ospitati. L’attività di “affittacamere” non deve essere confusa con quella di “bed and breakfast”. In questo caso l'alloggio deve avere massimo da tre a sei camere (più precisamente i requisiti variano da regione a regione) debitamente arredate per un massimo di sei/venti posti letto (più precisamente i requisiti variano da regione a regione).
Regolamento contrattuale
Il Regolamento contrattuale può contenere il divieto di svolgere attività di “affittacamere” o di “bed and breakfast” ed in questo caso tale divieto è destinato a produrre effetti nella sfera giuridica dei proprietari delle singole unità abitative che non potranno svolgere le predette attività. Divieti simili relativi alle parti comuni o a quelle di proprietà esclusiva possono essere inseriti anche all’interno di un regolamento assembleare, che dovrà essere però approvato all’unanimità per poter disporre di limiti di destinazione alle proprietà private dei condomini.
Nozione di civile abitazione
La Corte di Cassazione si è preoccupata anche di stabilire se l’attività di “affittacamere” debba essere considerata compatibile con quella di cosiddetta “civile abitazione”. In particolare i giudici ritengono che non vi siano ostacoli alla relativa ammissibilità all’interno del concetto generico di civile abitazione. In realtà il ragionamento della Corte non è perfettamente condivisibile, perché esclude in modo assoluto e categorico che l’attività di affittacamere possa essere equiparata all’attività alberghiera, non tenendo conto che la predetta attività, pur non comportando lo svolgimento del cambio di destinazione d’uso ai fini urbanistici, costituisce esercizio professionale di un’attività organizzata al fine dello scambio di beni e servizi.
Onere della prova
In un eventuale giudizio diretto ad accertare se l’attività svolta all’interno di un appartamento possa essere incompatibile con gli obblighi di reciproca convivenza non basta contestare che tale attività arrechi disagio ai condomini, ma devono essere dimostrate in concreto quali conseguenze pregiudizievoli l’attività produca. Pertanto, se viene contestata l’attività di “affittacamere” in quanto ritenuta lesiva della tranquillità e del decoro della vita condominiale occorrerà contestualmente dimostrare i limiti della capacità ricettiva della struttura in ordine all’ubicazione e più esattamente lo specifico pregiudizio in danno ai condomini.

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