- lunedì 7 settembre 2015, 08:51
Colf in attesa del bebè, vietato il licenziamento
E' nulla la decisione del datore nel periodo di tutela legale della maternità
Le lavoratrici dipendenti non possono essere licenziate quando iniziano la gestazione e sono protette fino all’anno di vita del bambino. Anche colf e badanti hanno questa tutela ma in forma ridotta: lo scudo protettivo arriva al termine del congedo obbligatorio che dalla data effettiva del parto può essere di tre mesi o di quattro nel caso in cui la lavoratrice abbia scelto e adottato la cosiddetta maternità flessibile (cioè quella che consente di lavorare fino a un mese prima della data presunta del parto e restare a casa per i quattro mesi successivi alla nascita del bambino, in luogo del classico sistema 2+3). Il licenziamento nel periodo in cui vige la tutela legale della donna in maternità è nullo e perciò il rapporto di lavoro viene considerato come mai interrotto.
Di più breve durata lo "scudo" per le colf
Sul fatto che la tutela nel lavoro domestico sia limitata ha spinto le organizzazioni sindacali dei lavoratori a preoccuparsi del fatto e ad anticipare ogni loro utile iniziativa per pareggiare la posizione delle interessate con quella delle lavoratrici di altri settori. Una apposita dichiarazione in tal senso è inserita in calce all’art.24 del contratto collettivo, subito controbattuta dalle associazioni dei datori di lavoro che nella buona sostanza ritengono questa differenza rispettosa della posizione delle donne tenuto conto delle particolari condizioni del lavoro domestico, le cui specificità escludono che la normativa contrattuale sia in tutto e per tutto identica a quella degli altri settori. La tutela è comunque condizionata dal fatto che la gravidanza sia iniziata nel corso del rapporto di lavoro. In altri termini se la colf è incinta -è un esempio - dal 1° agosto non può avere il sostegno della legge e del contratto collettivo di lavoro della categoria se viene assunta dopo tale data. Circa la decorrenza del divieto di licenziamento legata all’inizio della gestazione la giurisprudenza ammette che lo scudo sia operante anche se la stessa colf/badante non sia consapevole del suo stato. Se perciò viene intimato un licenziamento in un periodo successivo in quanto entrambe le parti non sospettano la presenza di una gravidanza, ebbene, il licenziamento è illegittimo (una volta dimostrato lo stato e la decorrenza della gestazione con il prescritto certificato medico) e la donna deve riprendere il lavoro.
Valide le dimissioni solo se convalidate
La legge estende la tutela anche al caso in cui durante la gravidanza e il puerperio la donna presenti le dimissioni volontarie per sua libera scelta. In questa ipotesi la legge teme che nell’allontanamento della lavoratrice ci sia nascosto lo zampino del datore di lavoro, che per una ragione o un’altra ha spinto la donna ad andarsene. Perciò le dimissioni devono essere convalidate dagli organi del Ministero del lavoro, al quale devono presentarsi le parti per un colloquio atto a formare il convincimento che le dimissioni non siano forzate. La tutela non è soltanto una questione di donna. Il divieto vale anche per il padre lavoratore nel caso in cui dopo la nascita del bambino si verifichi la morte o una grave infermità della neomamma, oppure l’abbandono del figlio o l’affidamento esclusivo di esso al padre. In ogni caso ci sono deroghe “oggettive” che tolgono di mezzo il divieto e convalidano il licenziamento. La prima è la cessazione dell’attività del datore di lavoro (esempio: la famiglia si trasferisce in altra città). La seconda riguarda l’ultimazione della prestazione per la quale la colf era stata assunta dalla famiglia; una volta ultimato quel lavoro la colf non serve più e quindi può essere risolto il rapporto. La terza, quasi simile, è la scadenza del termine indicato nel contratto di assunzione a tempo determinato.
Risoluzione per giusta causa
Ci sono anche deroghe “soggettive”. La prima e di maggiore spessore è la risoluzione per “giusta causa”, quando cioè si è in presenza di una mancanza così grave della lavoratrice che non consente la prosecuzione del lavoro, neppure in via provvisoria. In questo caso la norma legittima il datore di lavoro a non dare neanche il preavviso: si applicano le regole stringenti del cosiddetto licenziamento in tronco.
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