• di Bruno Benelli
  • lunedì 3 marzo 2014, 10:31

Colf in pensione con l'orario minimo

Non meno di 24 h a settimana per le norme più favorevoli

Colf e badanti non possono fruire del beneficio introdotto dal decreto legislativo 503/92 in base al quale se il lavoro viene svolto nell’anno in misura ridotta si continua ad avere diritto alla pensione con le norme più favorevoli, anteriori alla riforma che da gennaio 1993 ha elevato a 20 anni la contribuzione minima per la pensione di vecchiaia aumentando nel contempo di cinque anni l’età di pensione per uomini e donne. La Corte di Cassazione, infatti, con sentenza 10510/2012 smorza ogni speranza della categoria per la quale vigono in pensione norme speciali che non permettono di applicare quelle di carattere generale che valgono per gli altri lavoratori.
Minimo di 12 ore
Il decreto presidenziale 1403/1971 ha stabilito che la settimana può essere calcolata in misura piena in pensione solo se la colf ha versato contributi per almeno 12 ore. Se i contributi sono versati su un numero inferiore gli uffici Inps riducono in proporzione il periodo utile a pensione (si applica in pratica lo stesso sistema che vige per il part-time).
Minimo di 24 ore
La legge 638/1983 ha portato il minimo a 24 ore, vale a dire nel trimestre solare il numero dei contributi settimanali da accreditare al lavoratore è pari a quello delle settimane lavorate o comunque retribuite per le quali risulta versata o dovuta la contribuzione, sempreché per ciascuna settimana risulti una contribuzione media corrispondente a un minimo di ventiquattro ore lavorative. In caso contrario è accreditato un numero di contributi settimanali pari al quoziente, arrotondato per eccesso, che si ottiene dividendo la contribuzione complessiva del predetto trimestre solare per l'importo contributivo corrispondente a ventiquattro ore lavorative.
Deroga
Nel 1992 il decreto citato 503 ha introdotto la deroga al principio generale in base al quale continuano a trovare applicazione i requisiti di assicurazione e contribuzione previsti dalla previgente normativa nei confronti dei lavoratori subordinati che possono far valere un'anzianità assicurativa di almeno venticinque anni, occupati per almeno dieci anni per periodi di durata inferiore a 52 settimane nell'anno solare. Ebbene, è proprio su questa deroga che alcune colf hanno ricorso alla magistratura dimostrando con gli estratti conto Inps alla mano di avere lavorato per almeno dieci anni in misura inferiore a 52 settimane e quindi chiedendo di liquidare la pensione con soli 15 anni di contributi.
La Cassazione ha bocciato i ricorsi
Ma la Cassazione ha bocciato i ricorsi, dando ragione all’Inps, sottolineando che il più favorevole regime previgente non può ricomprendere le colf che a parità di altri requisiti sono state occupate, per almeno un decennio, per l'intero anno solare, ma di fatto hanno - al pari dei lavoratori non occupati per l'intero anno solare - un minor numero di contributi annui, ma solo perché così stabilisce l'orario minimo lavorativo settimanale. Le interessate controbattono dimostrando che al di là del formalismo delle leggi alla resa dei conti sono nella stessa situazione dei precari.
Leggi peggiorative
Ma i giudici supremi hanno mantenuto il punto: il più favorevole regime previgente riguarda solo i lavoratori non occupati per l'intero anno solare e non già i lavoratori che, sebbene occupati nell'intero anno solare, possano - come appunto le colf - far valere una minore contribuzione. Il Collegio ha riaffermato il consolidato insegnamento della giurisprudenza secondo cui la determinazione dei tempi, dei modi e della misura delle prestazioni sociali è comunque rimessa all'ampia discrezionalità del legislatore nel bilanciamento dei diversi interessi contrapposti che può sempre intervenire, con leggi peggiorative, persino su trattamenti pensionistici in corso di erogazione ( vedi ad esempio Corte costituzionale, sentenza 36/2012).

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