di Enrico Lupino e Alessia Marani
giovedì 5 settembre 2019, 11:56Roma, omicidio Diabolik e gli albanesi: le verità di Gaudenzi
Spuntano i rapporti tra Fabio Gaudenzi e la batteria degli albanesi di Ponte Milvio nelle indagini sull'omicidio di Fabrizio Piscitelli, alias Diablolik, il capo ultras della Lazio ucciso il 7 agosto scorso nel parco degli Acquedotti. Di questo gli inquirenti chiederanno conto al 47enne sedicente «fascista di Roma Nord» ed ex ultrà giallorosso di Opposta fazione, già arrestato nell'ambito dell'inchiesta Mondo di Mezzo. Gaudenzi, detto Rommel, sarà ascoltato oggi a Rebibbia dai magistrati della Dda e dagli agenti della Squadra Mobile in qualità di indagato in un procedimento connesso e quindi in presenza del suo avvocato Veronica Paturzo. Se davvero lo sa chi è il mandante dell'omicidio del Diablo è da questa deposizione che partirà. Ovvero spiegando le dinamiche che hanno accompagnato la «scalata» della batteria degli albanesi, alcuni individuati in Arben Zogu, detto Riccardino e Adrian Coman, che le intercettazioni di Mondo di Mezzo descrivono come «particolarmente agguerrita e pericolosa» e «con a capo Fabrizio Piscitelli (...) al servizio dei napoletani ormai insediati a Roma Nord tra cui i fratelli Salvatore e Jenny Esposito, facenti capo a Michele Senese». Una rapida ascesa che avrebbe portato al controllo e alla spartizione di diversi locali commerciali e della movida dell'area di Ponte Milvio. È in questo intreccio di interessi e di fiumi di capitali reinvestiti che gli investigatori cercheranno un tassello illuminante per le indagini.
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In un'intercettazione ambientale del 27 novembre 2012, gli investigatori di Mondo di Mezzo annotavano una conversazione tra pregiudicati in cui veniva descritta con enfasi l'ascesa di Piscitelli («Diabolik sta sempre con... sono tutti, non lo so come ha fatto. In questi quattro anni ha fatto una scalata che non vi rendete conto», dice tale Freddi che però smentisce: «Non ero io a parlare») alludendo a una presa di controllo da parte dei napoletani e sodali delle attività commerciali della zona dove già insistevano gli interessi di Carminati e di un altro boss del calibro di Giovanni De Carlo, «un circuito criminale alternativo a quello dei napoletani».