VIRATA
Di Maio, chiuso per tutta la giornata a Palazzo Chigi dove si fa arrivare anche il pranzo, non molla sul ruolo di vicepremier: «Non mi muovo da questa posizione, rimango il capo politico». Alla corte di Di Maio ci sono Vincenzo Spadafora, Stefano Buffagni e un manipolo di fedelissimi. Si cerca di evitare ulteriori cortocircuiti: lo staff della comunicazione di Giuseppe Conte si coordina con quello di Di Maio per far trapelare che non c'è stata alcuna richiesta sul Viminale. La pancia del M5S dice il contrario. Ma è appunto l'intervento del premier che fa testo, soprattutto dopo la telefonata con Zingaretti, e fa decollare di nuovo la trattativa. Da qui una nuova virata: adesso la casella rincorsa per quello che fino a poco tempo fa era il capo indiscusso dei grillini è quella del ministero della Difesa, presidiato in maniera militare, è proprio il caso di dirlo, da Elisabetta Trenta.
Si gioca su tanti tavoli. E soprattutto il partito di Conte dentro il M5S inizia ad avere un certo spessore. Ci lavorano in molti. A partire dai parlamentari che partecipano in serata all'assemblea congiunta. Di Maio non c'è. I messaggi che arrivano dalla riunione, richiesta dalla minoranza che guarda a Fico, è chiara: «Questa volta non dobbiamo commettere gli errori del passato, cioè con
Salvini». Ecco perché nella lista dei papabili ministri M5S inizia a prendere quota anche il ruolo degli ortodossi, a partire da Nicola Morra.
Ma il caos è tanto è anche le uscite di Alessandro Di Battista servono a destabilizzare un quadro già precario. L'ex parlamentare nel bel mezzo delle trattative, con un post su Facebook, torna ad attaccare sulla revoca delle concessioni ai Benetton. E ottiene un'unica risposta, quella del capogruppo della Lega Massimiliano Romeo: «Noi ci siamo quando volete». Un tentativo estremo che non sortisce effetti. Ma sono una decina i parlamentari che storcono il naso davanti al governo giallorosso. Non c'è solo il senatore Gianluigi Paragone ad annunciare che «non voterò la fiducia e mi dimetterò per tornare al mio lavoro».
Sono dieci infatti, almeno così vengono calcolati, i deputati e senatori che sono pronti a uno strappo. Quello più clamoroso arriva ancora una volta da Beppe Grillo, autore di un post come sempre criptico che in una conversazione con Dio manda messaggi a Di Maio. Dopo aver disertato la riunione dei vertici con Davide Casaleggio tuona dal blog con un affondo che viene interpretato come una violenta reprimenda nei confronti di «Luigi» e una sorta di nuovo passo di lato: «Dio mi ha detto, lasciali alla loro Babele». L'annuncio di una ritirata dopo però aver portato a termine la missione del Conte bis che, in un modo o nell'altro, è destinata a mutare la natura del M5S.
In questo caos, anche la votazione degli iscritti su Rousseau diventa un macigno sulla trattativa. Alle 22.40 mette tutto di nuovo in dubbio. Il voto sulla piattaforma è previsto «entro la prossima settimana». Zampata di Di Maio: «Gli iscritti avranno l'ultima parola». Con tanti saluti alla prassi costituzionale.
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