- venerdì 27 gennaio 2012, 14:36
Il lavatoio-stenditoio è proprietà condominiale: no alla trasformazione in “mini appartamenti”
Antenna tv rimossa con il voto della maggioranza. La Cassazione: l’assemblea è sovrana sugli impianti centralizzati
Sorpresa: l’assemblea può decidere a maggioranza di rimuovere l’antenna televisiva centralizzata dal tetto dell’edificio e un solo condomino non può mettersi di traverso, ma deve rispettare la volontà degli altri. No all’ascensore privato del singolo proprietario se l’impianto toglie spazio ai parcheggi in cortile e luce agli altri appartamenti. E ancora: il locale lavatoio-stenditoio è di proprietà condominiale e non può essere trasformato in miniappartamento anche se il regolamento non lo indica espressamente come bene comune. È quanto emerge dalle sentenze 144/12, 28920/11 e 27341/11 pubblicate dalla Cassazione civile.
Beni comuni
L’antenna centralizzata? In tempo di parabole non vale più la pena ristrutturare l’impianto, meglio rimuoverlo: così decide l’assemblea con la maggioranza dei voti. Una signora settantenne, affezionata ai vecchi sistemi, non ci sta e si rivolge al giudice. Senza successo, però. Inutile eccepire la nullità della delibera, che infatti non impedisce il godimento individuale di un bene comune, ma sopprime un servizio di cui il singolo condomino non può imporre la prosecuzione per il solo fatto di essere comproprietario dell’impianto (sentenza 144/12). Il fatto che l’antenna tv sia una cosa comune ai sensi dell’articolo 1117, comma 3 del codice civile non significa che essa sia di per sé un «bene comune», il quale resta tale finché assolve la sua funzione in favore di di tutti i condomini. E spetta all’assemblea, che è sovrana in materia, decidere se istituire, mantenere o sopprimere il servizio comune, a patto di non incidere sulle proprietà o sui diritti dei singoli. Insomma: al “parlamentino” compete pronunciarsi sull’intera gestione delle cose, dei servizi e degli impianti comuni e la sua decisione è vincolante per tutti: un sistema diverso consegnerebbe un diritto di veto a ogni condomino, in quanto la volontà contraria di un solo partecipante sarebbe sufficiente a impedire ogni decisione.
Eguali diritti
Passiamo all’ascensore: non serve un impianto privato da costruire ex novo ma basta un servoscala per portare a casa il nonnetto dell’ultimo piano (sentenza 28920/11). L’arzillo vecchietto non sente ragioni e, soprattutto, non bada a spese: è pronto ad accollarsi l’intero investimento necessario a realizzare l’elevatore. Ma non basta. Il progetto dell’anziano, per quanto in buona fede, viola i principi del codice civile in tema di cose comuni: ciascun condomino può apportarvi a sue spese le modifiche che crede purché ne rispetti la destinazione d’uso e non violi gli eguali diritti degli altri; le perizie, invece, accertano che l’ascensore privato toglierebbe in cortile lo spazio necessario alle auto per parcheggiare e, più sopra, la luce e la veduta agli appartamenti degli altri proprietari, che se volessero servirsi dell’impianto dovrebbero fare dei lavori nell’appartamento, a meno di non volervi accedere dalla camera da letto, complice la disposizione dell’edificio. Insomma, la soluzione è un più modesto ma funzionale montascale ed è indicata dagli stessi giudici: chissà se la sconfitta nella causa sarà stata utile a convincere il cocciuto condomino classe ‘929.
Da stenditoio ad appartamento
Locale stenditoio, anzi no: mini-appartamento. Il costruttore dell’edificio cambia le carte in tavola e vende il lavatoio condominiale come monolocale, ma non risarcisce il compratore che, al momento dell’acquisto, sa perfettamente come l’immobile sia privo del certificato di abilità, procurato soltanto vent’anni dopo dal venditore (27341/11). È irrilevante che il regolamento condominiale di natura contrattuale allegato al contratto di compravendita non indichi espressamente come parte comune il volume tecnico “incriminato”, localizzato in terrazza: il fatto che l’immobile non sia esplicitamente menzionato fra i beni in comune non vale a superare la presunzione di condominialità che si desume dal fatto che il locale nasce in origine per essere al servizio di tutti i proprietari di appartamento nello stabile come lavatoio e stenditoio. Il danno risulta escluso perché il contratto di compravendita precisa che l’acquirente è al corrente che l’immobile è privo del certificato di abitabilità.
Riscaldamento, dal gasolio al metano
Non servono né il progetto né la relazione tecnica quando l’assemblea delibera il passaggio dall’impianto centralizzato di riscaldamento a gasolio agli impianti autonomi a metano secondo gli obiettivi di risparmio energetico di cui alla legge 10/1991. Lo precisa la Cassazione con la sentenza 28947/11. Per la svolta “verde” basta la maggioranza delle quote millesimali perché in sede di voto conta solo la convenienza economica: la verifica rispondenza alla legge scatta nella successiva fase esecutiva.
Quando l’autonomo non conviene
Passa dall’impianto centralizzato all’autonomo ma continua a pagare anche il primo: il distacco del condomino “secessionista” determina un inaccettabile aumento di spese a carico degli altri, è allora impossibile sfuggire all’ingiunzione ottenuta dall’amministratore. È quanto emerge dalla sentenza 25354/11 della Cassazione. Impietosa la perizia: l’appartamento fruisce del calore dell’impianto centralizzato anche dopo il distacco, che non offre risparmi agli altri proprietari. Non resta che pagare.
Ingiunzione al moroso
Al condomino che riceve l’ingiunzione perché non ha pagato il riscaldamento non serve impugnare anche la delibera contraria al regolamento che ha diviso le spese: in sede di opposizione il giudice d’appello può verificare la nullità della decisione in base alla quale il condominio ha ottenuto il decreto del giudice. Lo spiega la Cassazione nell’ordinanza 27016/11. L’approvazione del consuntivo doveva avvenire all’unanimità, non a maggioranza: è giusto rilevare il vizio del titolo posto a fondamento dell’ingiunzione e azzerare il credito del condominio.
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