di Bruno Benelli
lunedì 9 marzo 2015, 08:58La colf straniera rimpatria ma la pensione è salva
A patto che siano maturati i requisiti secondo la legislazione italiana
I contributi Inps che i lavoratori extracomunitari pagano in Italia non vanno perduti allorché gli interessati rimpatriano. Tutto ciò ovviamente vale anche per il lavoro domestico, quindi per colf e badanti. Non interessa se tra Italia e i Paesi dei rimpatriati esista o no un accordo di reciprocità. Basta che essi maturino i requisiti stabiliti dalla normativa italiana e il gioco è fatto: conservano i diritti previdenziali e di sicurezza sociale maturati e hanno diritto alla pensione guadagnata con il versamento dei contributi. Hanno titolo alla pensione a condizione che ne raggiungano i requisiti stabiliti dalla legge italiana, requisiti che sono in parte diversi (e più favorevoli) rispetto a quelli imposti ai cittadini italiani e comunitari.
Vediamo in dettaglio per colf e badanti
Prendiamo la pensione di vecchiaia: ai lavoratori extracomunitari con rapporto di lavoro a tempo indeterminato o determinato rimpatriati spetta al compimento dei 65 anni di età, oggi diventati 66 + 3 mesi (uomini e donne). Fin qui siamo nel solco della norma di carattere generale, quella che non fa differenze in base alla nazionalità del lavoratore.
Guida ai calcoli
Ma è un altro discorso se si guarda al requisito contributivo. Qui occorre dividere la materia in due antitetiche situazioni: 1) se la pensione è liquidata con il sistema retributivo o misto, si applica in toto la normativa italiana, senza alcuna deroga; perciò la colf/badante dovrà raggiungere il minimo dei 20 anni di versamenti per avere diritto alla pensione; 2) se si deve applicare il sistema contributivo, allora la pensione è pagata anche se l’interessato non ha raggiunto il minimo dei versamenti previsto dalla normativa vigente. La legge Bossi-Fini (legge 189/2002) parlava di 5 anni in quanto all’epoca tale era il minimo per le pensioni contributive. Ora non è più così: il minimo, dopo l’intervento della riforma Fornero, è salito a 20 anni. Anche se bastano di nuovo solo 5 anni nel caso di richiesta di pensionamento a 70 anni. Comunque sia, la pensione viene in sostanza pagata dall’Italia qualunque sia il numero dei contributi versati. E’ opportuno ricordare che la legge 189 mise fine a una incredibile facoltà riconosciuta agli extracomunitari dalla legge 335/1995 (legge Dini), in base alla quale chi rientrava in patria senza avere raggiunto il diritto a pensione poteva chiedere la restituzione dei contributi pagati, compresa la quota a carico dell’azienda. In questo modo gli interessati, non sembri una forzatura, diventavano “ricchi”. Abbiamo più o meno tutti conoscenza di casi di badanti che tornavano a casa e diventavano proprietarie di vasti terreni a conduzione agricola.
Il caso dei superstiti
Regola particolare (e stavolta più restrittiva) per la pensione ai superstiti, quando ovviamente ne sono stati raggiunti i requisiti richiesti dalla legislazione italiana e validi per tutti gli assicurati. Due sono i casi: a) se il decesso si è verificato successivamente al compimento del 65° anno (oggi 66 +3 mesi) la pensione ai superstiti spetta applicando le disposizioni vigenti per la generalità dei lavoratori; b) se il decesso è anteriore al compimento della citata età non spetta la pensione ai superstiti . Qui l’Inps considera che la posizione contributiva debba ritenersi efficace solo al raggiungimento della predetta età. Su questa interpretazione limitativa non tutti sono d’accordo: quanto meno nascono dubbi.