Questa mescolanza di anziani e di ragazzi, di Nord e di Sud, di bandiere italiane ma anche qualche vessillo dell’Ungheria di Orban, di slogan in romanesco e di stendardi della Repubblica veneziana di San Marco, di vaffa a Grillo e di zero saluti romani, segna il battesimo del popolo della destra-centro, nella piazza che fu la più rossa di tutte, in sostituzione del vecchio centro-destra. E Berlusconi sembra accettare questa trasformazione e partecipa senza opporsi al passaggio dello scettro. Che è nelle mani di Salvini e Salvini ha gestito questa cerimonia di investitura senza strappi, che pure gli sono consueti, senza quel senso di superiorità fin troppo praticato, fino al punto da danneggiarlo assai tra Papeete e la rivendicazione dei «pieni poteri».
FORMAT
Il format San Giovanni è l’opposto di quello Milano Marittima. Ed ecco allora che davanti al popolo della destra-centro che grida unità e si rappresenta unito in piazza,
Matteo Salvini tiene a freno l’egotismo. E mentre archivia la leadership del Cavaliere - «Ha vinto tante battaglie e tante ancora ne vincerà» - fa di tutto perché Zio Silvio si senta a casa. E come la Meloni ad Atreju è riuscita nell’ardua impresa di non far fischiare dal suo popolo l’ospite Conte, così Matteo riesce a tacitare i fischi di noia verso la lungaggine del discorso del Cavaliere e abbracciando Silvio se ne fa erede. Proponendosi come federatore (e si vedrà se davvero ne ha le capacità) e rimangiandosi così la vecchia impostazione: «Non si vince da soli».
A unire davvero le varie anime delle piazza, in cui Forza Italia c’è ma si vede meno degli altri, è il grido «elezioni!». Rimbomba di continuo. Il diritto negato del voto è il tormentone di questo popolo. Si sente spogliato della sovranità e usa questo torto ricevuto (così a loro appare, ma la Costituzione non prevede urne per forza se cade un governo) come doping per il proprio protagonismo e come trampolino per il riscatto politico. C’è il nazionalismo in questa piazza, e il sovranismo viene spacciato a piene mani dal palco, ma forse prevale il patriottismo e quando la manifestazione si conclude con il Va pensiero le note non stridono con l’ambiente. CasaPound è quasi invisibile e ammansita e il suo leader Di Stefano parla come un sottosegretario dell’Udc.
Il trucismo non spopola. E - sorpresa! - non appare il rosario nelle mani di Salvini, non si parla di santi e di madonne, non si gioca con il cesaropapismo e se dura questo salto di qualità sarà bene per tutti. Quel finto frate francescano - in verità è un avvocato milanese salvinista - che gira tra i manifestanti sparlando di «Bergoglio il comunista» non diventa un eroe ma resta una macchietta agli occhi dei più.
Che non fanno la ola quando l’economista e parlamentare Borghi rispolvera la propaganda anti-euro, che Salvini ha già (almeno ufficialmente) dimesso definendo la moneta unica «irreversibile». Ma questo è anche il popolo del contante (la religione della card non gli appartiene), dei porti chiusi e della solitudine del cittadino globale che vuole essere difeso di più dallo Stato, mentre quelli della manifestazione berlusconiana qui a piazza San Giovanni nel 2006 non facevano che dire su tutto e per tutto: «Meno Stato».
Il Cavaliere prova a dire: 13 anni fa alla mia manifestazione c’era più gente». Forse è vero. Ma allora le piazze le riempiva anche la sinistra, adesso molto meno. Perciò il popolo della destra-centro si sente padrone della scena ma bisognerà vedere se, insieme ai suoi leader, sarà all’altezza di un momento complicato.
Vai all'articolo completo
Questo sito utilizza i cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione ed inviarti pubblicità e servizi in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più clicca qui.
Chiudendo questo banner acconsenti all'uso dei cookie.
X