immagine Colf e badanti conviventi
ma con l’orario ridotto
  • di Bruno Benelli
  • lunedì 11 luglio 2016, 22:35

Colf e badanti conviventi ma con l’orario ridotto

Il massimo è di 54 ore settimanali, la consuetudine è di 25 ore
 

Colf e badanti conviventi devono lavorare in base all’attuale contratto collettivo nazionale di lavoro domestico fino a un massimo di 54 ore a settimana, con un massimo di 10 ore al giorno non consecutive. La durata normale dell’orario è concordata fra le parti. E qui da noi spesso è di 25 ore a settimana, cioè poco più di 4 ore al giorno per sei giorni a settimana.
Sembra un “mezzo servizio con convivenza”, una contraddizione in termini. Se una persona lavora in modo così modesto non si vede perché la famiglia se la tenga a casa giorno e notte. E le dia, oltre alla stanza personale, anche colazione, pranzo e cena. Ma così è.  Si stabilisce un triangolo: 1) l’Inps accetta i versamenti, incassa senza fiatare;, 2) il datore di lavoro è contento perché spende di meno; 3) colf e badanti sono tranquille perché hanno tutte le settimane coperte da contribuzione e quindi non hanno alcuna perdita ai fini della pensione.
Ma è proprio vero che non c’è perdita? La risposta è negativa. Al di là del fatto che denunciare un salario inferiore può consentire al coniuge di avere qualche prestazione non dovuta (tipo: assegno per il nucleo familiare), è scontato che le lavoratrici avranno una perdita pensionistica, specie ora che il calcolo delle rendite è esclusivamente fatto con il sistema contributivo. Se gli attuari hanno improntato un sistema secondo cui la pensione è strettamente correlata al peso dei contributi pagati, è facile comprendere che meno contributi danno per aritmetico risultato meno pensione.  La parametrazione è sempre la medesima: in positivo o in negativo.
 
Da 25 a 54 ore

 Proviamo a buttare giù qualche cifra per verificare come stanno esattamente le cose. Partiamo da una colf che lavora 54 ore a settimana e viene assicurata all’Inps per 25 ore. Quest’anno il contributo orario per i rapporti superiori a 24 ore settimanali è di 1,01 euro tondo. Se il rapporto di lavoro è a tempo determinato il contributo sale di sette centesimi. Questa maggiorazione però non si paga se il lavoro a termine è richiesto per sostituire una dipendente assente per qualche motivo (malattia, maternità, ferie, ecc.).
L’assicurazione Inps per 54 ore a settimana costa 54,54 euro, pari a 236 euro al mese e a 2.834 euro nell’ intero. Se si denunciano 25 ore il costo Inps si riduce a 25,25 euro, pari a circa 110 euro al mese e a 1.310 euro nell’intero anno.
 
La perdita in pensione

Proviamo ora a proiettare questa situazione per 30 anni.  Ovviamente è un esempio che non può verificarsi in concreto,  perché il contributo cambia ogni anno, e certamente nel periodo trentennale matureranno nuove normative.  Ciò doverosamente premesso, l’esempio resta un punto di approssimato riferimento, che ci restituisce comunque l’idea del danno causato ai prestatori di lavoro.  Con 25 ore la pensione sarà di 183 euro al mese (calcoliamo solo i contributi versati senza tenere conto delle rivalutazioni annuali che hanno il loro peso nell’aumentare la misura della rendita), con 54 ore sarà di 395 euro. Sembra poco, ma mancano 2.500 euro annui.
Se fossimo rimasti con il calcolo retributivo era abbastanza scontato che la colf non avrebbe comunque avuto alcuna perdita, perché in tutti e due i casi avrebbe preso la pensione integrata al minimo (oggi quasi 502 euro al mese). Ma ora il metodo è stato sostituito dal contributivo, che non prevede integrazioni. La pensione è “nuda”: non è coperta da mantelli che le consentano di avvicinarsi al cosiddetto minimo vitale.
Conclusione? Ogni attuale risparmio sui contributi inciderà negativamente sulla pensione. Vince il datore di lavoro, perde il lavoratore.
 
 

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