di Bruno Benelli

venerdì 9 marzo 2012, 17:08

Rimpatrio colf a spese del datore di lavoro

Ma l'obbligo di provvedere al biglietto non è automatico

Nei contratti che il datore di lavoro firma insieme alla colf o badante extracomunitaria, tra i tanti obblighi ce n’è uno sibillino e preoccupante. Sibillino, perché non si capisce bene cosa voglia esattamente dire e imporre. Preoccupante, perché il datore di lavoro si impegna a mettersi le mani in tasca allorché si risolve il rapporto di lavoro. Le mani in tasca non solo come pagamento dell’ultima retribuzione, dei ratei di ferie e tredicesima mensilità non godute, dei contributi Inps, del trattamento di fine rapporto, ma come pagamento del viaggio di rientro in patria della colf. Questo impegno, imposto dal decreto legislativo 286/1998, è un aggravio notevole di spesa.
Biglietto di viaggio
Ma quand’è che scatta questo obbligo? A leggere la norma non si ottiene risposta: il riferimento è generico. Per cui verrebbe da pensare che ogni volta che la colf/badante extracomunitaria decida di tornare in patria il biglietto di ritorno sia a carico del datore di lavoro. Ma è proprio così? Nonostante il silenzio descrittivo della norma possiamo tranquillizzare gli interessati: non è così. In primo luogo l’eventuale dilemma nasce solo se si tratta di rientro “definitivo”. Ma la motivazione del rientro non deve risalire a una manifestazione di volontà della lavoratrice, nei casi in cui, stanca per qualsiasi motivo di stare in Italia, voglia giustamente ritornare alle proprie radici etniche, familiari, sociali.
Espulsione
No, il rientro deve derivare da una “imposizione” dello Stato. In altri termini il rientro deve avere una causa coattiva. In virtù di qualche reato la persona, in parole povere, deve essere espulsa dall’Italia. Solo in questo caso riaffiora il codicillo contenuto nel contratto e che il datore di lavoro ha controfirmato davanti alle autorità. Lo conferma la dott.ssa Teresa Benvenuto dell’Assindatcolf: “Il datore di lavoro è tenuto al pagamento del viaggio di rientro del lavoratore straniero extracomunitario nel suo Paese solo quando quest’ultimo viene espulso dallo Stato italiano. Attenzione inoltre: l’impegno di pagare le spese sussiste nei confronti del nostro Stato e non nei confronti del lavoratore. In ogni caso l’obbligo è solo una “garanzia” in quanto manca una sanzione in caso di mancato pagamento da parte del datore di lavoro”.
Più datori di lavoro
Possiamo perciò tranquillizzare gli interessati: il problema è molto ridimensionato, in pratica è cancellato. Fino però a prova contraria. Se capita l’espulsione il datore di lavoro deve temere una “chiamata in causa” per chiudere la vicenda. E a questo punto nascono interrogativi, nei casi il cui la colf/badante extracomunitaria, durante il soggiorno in Italia, sia stata assunta da più famiglie.  Chi paga in questo caso? L’ultimo datore di lavoro e basta? Cioè l’ultimo della fila che è rimasto con il cerino accesso in mano? Oppure devono adempiere anche i precedenti? E se costoro sono defunti, si va dagli eredi? E una volta messi in fila i vari datori di lavoro come si ripartiscono le spese? In base alla durata più o meno lunga di ogni individuale rapporto di lavoro?

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