- Sabato 25 Maggio 2019, 00:25
Una Penelope imbrigliata nella sua tela
Sarà ricordata come l’ennesimo leader europeo che torna a casa sconfitto. Una che ha sbagliato tutti i calcoli. Eppure una qualità va riconosciuta a Theresa May. Come molte donne ha mostrato una straordinaria resilienza, dopo avere incassato un po’ di tutto.
Ha incassato insulti, attacchi dai suoi colleghi di partito, titoli feroci dalle prime pagine di tutti, o quasi, i giornali britannici. Ha fatto finta di niente, leggendo i commenti ironici sul suo stile da donna di mezz’età mai stata bella, perfino ingenua con le sue scarpe leopardate.
Ha accettato per mesi l’inscalfibile freddezza del francese Michel Barnier che a Bruxelles aveva il mandato di sconfiggerla. Ha mandato giù umiliazioni di arte varia, con la testardaggine tutta femminile di chi si incaponisce e resiste. Uno come David Cameron, per dire, il suo predecessore, sarebbe scappato a gambe levate soltanto dopo un paio dei trattamenti cui Theresa May è stata sottoposta. Uno come Boris Johnson, il suo probabile successore, l’uomo che un certo establishment alleva da anni perché vada ad occupare Downing Street, li avrebbe mandati a quel paese dopo due mesi.
Theresa May no. Lei ha resistito. Ma come capita a molte donne, ha tenuto duro peccando. Peccando due volte: una per superbia e un’altra per ingenuità.
La superbia. È evidente che la ormai ex premier britannica pensava di prenderli tutti per stanchezza. Come Penelope, di giorno tesseva la tela di un deal dignitoso a favore di Brexit e di notte lavorava per prendere tempo. La differenza è che i suoi “Proci” vale a dire i colleghi Tories e l’opposizione di Corbyn si sono dimostrati molto più coriacei e molto meno sentimentali di Antinoo, il capo dei Proci veri. E, a differenza di Antinoo, né Boris Johnson né Corbyn hanno mai davvero pensato di “sposare” politicamente Penelope May.
Il secondo peccato nel quale è inciampata la ormai ex inquilina di Downing street è stato di ingenuità. Ha pensato che bastasse mettercela tutta, lavorare sodo, dimostrare un sincero attaccamento verso il suo Paese, e alla fine le avrebbero detto «brava». Ingenua come la maggior parte delle donne convinte che la devozione alla causa e al lavoro basti a richiamare l’attenzione del capo con conseguente aumento di stipendio.
Così, da un lato pensandosi furba e dall’altro rivelandosi alquanto sprovveduta, Theresa May alla fine ora si arrende. È stata forse più dignitosa di Cameron ma poi non tanto diversa da altri politici maschi. Cameron, da giocatore di poker, ha puntato tutto sul referendum. Ha rischiato e ha perso. Theresa ha puntato tutto sulla tecnica del rinvio, tecnica anche molto maschile, di chi pensa che i problemi si risolvano da soli, basta nasconderli. E ha perso lo stesso.
Come la ricorderemo? Dipende. C’è chi sceglierà il frame della resa, le lacrime davanti ai microfoni, nel suo tailleur incongruamente rosso, il colore del combattimento, indossato nel giorno della sconfitta.
Io preferisco ricordarla invece nel suo unico e solo momento felice. Quando, danzando legnosetta, si presentò sul palco della convention dei Tories sull’onda degli Abba. È stata Dancing Queen per una sera. E forse ne valeva la pena. In fondo alla storia passerà. Non come avrebbe voluto, ma un posticino se l’è ritagliato, la Penelope di Downing Street.
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