• di Giorgio Sbordoni
  • lunedì 27 maggio 2013, 08:39

Usufrutto e diritto di abitazione? Solo in apparenza simili ...

Le norme che disciplinano i due "istituti giuridici". Chi ne beneficia, le coppie di fatto, i limiti


Diritto di usufrutto o diritto d’abitazione? Qual è meglio? Quali sono le differenze dal punto di vista fiscale e sul piano contenutistico? Cerchiamo di dare risposta a questi quesiti partendo da quanto afferma Gabriele Noto, Consigliere Nazionale del Notariato: “I diritti reali sono come delle cornici concentriche: la proprietà è la cornice più ampia, che li racchiude un po’ tutti. All’interno della proprietà possiamo immaginare una cornice leggermente più stretta che è l’usufrutto. All’interno di questo, una cornice ancora più stretta che è quella dell’uso e dell’abitazione. La destinazione dei due istituti è molto diversa: l’abitazione, come l’uso, è un diritto destinato a soddisfare i bisogni del fruitore, dell’abitatore, come si dice, e della sua famiglia. L’usufrutto è invece un diritto che può essere costituito anche a termine, può essere costituito anche a favore di persone giuridiche, non tiene conto della famiglia, quindi ha una finalità molto più generale”.
Diritto di usufrutto
L’usufrutto è un diritto reale minore regolato dagli articoli 978 e seguenti del codice civile, che consiste nel poter godere di un bene, e dei relativi redditi, di proprietà altrui. Ma con una limitazione, importante e fondamentale: il divieto di alterare la destinazione economica della cosa stessa. Al proprietario del bene resta solo la nuda proprietà. Cioè la proprietà spogliata del potere di trarre utilità dalla cosa. Secondo l’articolo 979 del codice civile, “La durata dell’usufrutto non può eccedere la vita dell’usufruttuario. L’usufrutto costituito a favore di una persona giuridica non può durare più di trenta anni”. Secondo l’articolo seguente, il 980, “L’usufruttuario può cedere il proprio diritto per un certo tempo o per tutta la sua durata, se ciò non è vietato dal titolo costitutivo”. L’usufruttuario, quindi, non è obbligato a prendere lui stesso possesso dell’immobile e può concludere, ad esempio, dei contratti di locazione con terze persone. L’usufrutto non è cedibile né trasmissibile agli eredi in caso di morte del beneficiario, mentre invece continua a sussistere in caso di morte del proprietario.
Diritto di abitazione
Il diritto di abitazione è un diritto reale di godimento su bene altrui, disciplinato dagli articoli 1021 e seguenti del codice civile. Il diritto di abitazione ha per oggetto una casa e consiste nel diritto di abitarla limitatamente ai bisogni del titolare del diritto e della sua famiglia. La disciplina codicistica non consente di cedere il diritto in parola ad altri o di dare la casa in locazione. Il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza coniugale spetta anche, in caso di morte di uno dei coniugi, al coniuge superstite e, essendo considerato un legato "ex lege", si acquisisce immediatamente al momento dell'apertura della successione ereditaria.
Profilo fiscale
“Fiscalmente – ci spiega Gabriele Noto – tra i due istituti non c’è differenza. Sarebbe molto difficile per la normativa fiscale spacchettare il diritto in modo da capire quali siano le differenze di valore economico. Quindi, per semplificare, il fisco considera i due diritti allo stesso modo. In realtà non è così. E, poiché, non sempre, ma, comunque, spesso le aspettative di spesa fiscale orientano le scelte dei cittadini, se la spesa è la stessa si tende a preferire il diritto più ampio, più snello, cioè l’usufrutto. Alla fine, come sempre, la prassi decide qual è lo strumento migliore. Il contenuto del diritto di usufrutto, infatti, è un contenuto più ampio rispetto a quello del diritto di abitazione. Ad esempio, l’usufruttuario potrebbe dare in affitto la casa oggetto del diritto. Pensiamo all’anziano che dona la nuda proprietà. Quando non può più abitare la casa e deve essere ricoverato in un ospizio, l’appartamento viene affittato. Ebbene, i proventi dell’affitto spettano senz’altro all’anziano, cioè all’usufruttuario. Invece l’abitatore ha semplicemente il diritto di servirsi di una cosa, cioè di utilizzarla. Quindi se fiscalmente i carichi sono gli stessi, civilisticamente invece non c’è paragone: l’usufrutto è molto più utilizzato, l’abitazione molto meno”. Sia il titolare del diritto di abitazione che del diritto di usufrutto sono coloro che dispongono dell’immobile. Per questo motivo sono obbligati a versare tutte le imposte relative agli immobili oggetto del diritto. Saranno loro a versare le imposte sui redditi e l’IMU e non il nudo proprietario.
Per le coppie di fatto
“La prassi – dichiara Gabriele Noto – registra un maggior utilizzo dell’usufrutto nei rapporti delle coppie cosiddette di fatto, nelle unioni civili, in vita. Se per esempio si vuol comperare un immobile insieme, oppure uno dei due è titolare della proprietà, costituisce l’usufrutto a favore dell’altro per metterlo in una posizione di parità, di tutela, mentre sono entrambi in vita. Se invece parliamo di tutelare il compagno o la compagna per l’evento dopo la morte, non è infrequente, nel testamento, che la scelta cada sul diritto di abitazione”.
Diritto di successione
“Il diritto di abitazione è stata una novità introdotta per tutelare il coniuge nella riforma del diritto di successione del 1975. Prima questi non acquisiva beni in proprietà ed era penalizzato rispetto ai figli. Oggi è il soggetto più tutelato perché, oltre ad avere diritto a una quota di legittima, indipendentemente dalla presenza di figli, gli spetta anche il diritto di abitazione sulla casa di proprietà del defunto, o quand’era residenza familiare. E questo anche se rinuncia all’eredità”.

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