di Franca Giansoldati

martedì 27 agosto 2019, 20:36

Ratzinger rompe di nuovo la clausura per difendersi dalle critiche sul '68 e gli abusi nella Chiesa

Città del Vaticano  - Pensare che aveva promesso di rispettare la clausura e il ritiro, di non interferire nella vita della Chiesa, di vivere appartato e, soprattutto, di non parlare. Il Papa emerito, già Benedetto XVI, deve avere di nuovo cambiato idea, visto che ancora una volta il suo pensiero sta facendo il giro del mondo. Dalla sua palazzina di mattoni rossi in cui vive sulla sommità del Colle Vaticano con don Georg Gaenswein e cinque suore laiche, il teologo Joseph Ratzinger ha affidato un suo scritto ad una rivista tedesca. Un po’ come aveva già fatto a marzo con il pamphlet inviato ad un periodico bavarese, Klerusblatt e ai vertici della Santa Sede a proposito del summit sulla pedofilia in cui radiografava gli ultimi 50 anni, vedendo nel '68 l'origine del male, e scrivendo che: «Tra le libertà che la Rivoluzione del 1968 voleva conquistare c'era anche la completa libertà sessuale, che non tollerava più alcuna norm». E che «della fisionomia della Rivoluzione del 1968 fa parte anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente».

Una lettura di quel periodo storico che gli ha scaricato addosso una montagna di critiche alle quali, ad alcuni mesi di distanza, ha replicato con un altro contributo scritto affidato stavolta a «Herder Korrespondenz» di settembre. «Per quanto posso vedere - scrive Ratzinger -, nella maggior parte delle reazioni al mio contributo, Dio non appare affatto, e ciò non discute esattamente ciò che volevo enfatizzare come il nocciolo della domanda».  Il Papa emerito parla di «deficit generale nella ricezione del mio testo». In particolare rivolgendosi alla storica Birgit Aschmann che gli aveva rivolto articolate critiche. «nelle quattro pagine dell'articolo della signora Aschmann non compare la parola Dio, che ho posto al centro della questione». «La maggior parte delle reazioni che mi sono note mi mostra la gravità di una situazione in cui la parola Dio in teologia sembra addirittura essere spesso emarginata».
 

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